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I bambini devono mangiare insieme a scuola.
 
Questo concetto, sostanzialmente, è quello che prevale rispetto a tutti gli altri di cui si è discusso in questi giorni di riapertura della scuola alla luce della ordinanza del Tribunale di Torino del 13 settembre scorso che ha deciso sul reclamo presentato avverso un provvedimento che aveva accolto un ricorso di urgenza presentato da un genitore esercente la potestà sulla figlia minore iscritta all'Istituto scolastico comprensivo "Gaetano Salvemini".
 
Il valore superiore è quindi la socializzazione durante il consumo del pranzo: l’importanza della condivisione del pasto come un momento fondamentale, anche a scapito della c.d. “educazione alimentare” che comunque la scuola può portare avanti ugualmente. Non solo, la possibilità di portare il pranzo da casa per alcuni genitori può rappresentare una soluzione più economica rispetto alla mensa spesso gravosa per le famiglie, in particolare per quelle più numerose.
 
E’ interessante ripercorrere l’intero procedimento e i punti salienti del provvedimento in esame in ragione dei principi fondamentali ivi espressi.
 
Un genitore dell’Istituto scolastico comprensivo "Gaetano Salvemini" aveva chiesto in via di urgenza al Tribunale di Torino di accertare il diritto di scegliere per la propria figlia tra il servizio di refezione scolastica e il pasto domestico da consumarsi a scuola, nell'orario destinato alla refezione e di ordinare ai convenuti “di consentire al ricorrente di dotare la propria figlia di un pasto domestico preparato a casa, da consumarsi nel refettorio scolastico, o previa dimostrazione dell'impossibilità giuridica, presso altro locale idoneo destinato alla refezione, a partire dal primo giorno di scuola e di attivazione del servizio di refezione comunale ed in concomitanza a questo".
 
Il ricorrente aveva richiamato nel proprio atto la sentenza n. 1049 della Corte d’Appello di Torino del 21 giugno 2016 – resa nel giudizio d'appello proposto da n. 58 genitori di altrettanti studenti di scuole elementari e medie di Torino - che aveva riconosciuto il diritto degli studenti a consumare il pranzo portato da casa, in vece di quello della mensa scolastica, in refettorio insieme ai compagni.
 
Il ricorso ex art. 700 cpc  richiamava i principi sanciti dalla menzionata sentenza della Corte d’Appello e precisamente:
  • il diritto di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica ed il pasto domestico da consumarsi nell'ambito delle singole scuole e nell'orario destinato alla refezione;
  • il rifiuto da parte di alcune amministrazioni comunali come lesione di diritti fondamentali (allo studio, al lavoro, alla libertà delle scelte alimentari, alla uguaglianza), riconosciuti da norme di rango costituzionale.
 
Il Ricorso ex art. 700 cpc è stato accolto ma avverso il detto provvedimento hanno presentato reclamo dinanzi al Tribunale di Torino, in composizione collegiale, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca  e l’Istituto scolastico comprensivo "Gaetano Salvemini". Su di esso ha deciso il Tribunale con l’ordinanza del 13 settembre scorso.
 
Le Amministrazioni reclamanti hanno fondato l’impugnazione evidenziando che la  normativa vigente non obbliga ad avvalersi del servizio di mensa potendo la famiglia scegliere  tra il tempo pieno e il tempo definito e, nell'ambito del tempo pieno, è comunque consentito agli alunni di servirsi della refezione scolastica oppure di uscire all'ora di pranzo e fare rientro nel pomeriggio per la ripresa delle lezioni.
 
Il Collegio ha ritenuto le considerazioni delle Amministrazioni reclamanti non idonee a scalfire il ragionamento della Corte d’Appello, né a consentire una diversa ricostruzione del quadro normativo, che neghi al genitore dell'alunno iscritto al tempo pieno (si tratta di scuola primaria) la facoltà di scegliere, per il proprio figlio, tra il servizio di refezione offerto dal Comune e la consumazione a scuola, durante l'orario del pranzo, di un pasto preparato a casa: evidentemente sotto la propria responsabilità.
 
Ha affermato il Tribunale che “il diritto allo studio è riconosciuto dall'art. 34 Cost., che lo declina, in primo luogo, attraverso la previsione di obbligatorietà e gratuità dell'istruzione inferiore per almeno 8 anni”.
Relativamente alla eccezione dei reclamanti circa la possibilità per un genitore di non scegliere il tempo pieno o di optare per il prelievo del minore per il pasto a casa, il Collegio ha precisato  che “La legge, segnatamente l'art. 1 del d.l. 147/2007, comprende nell'orario scolastico di 40 ore "il tempo dedicato alla mensa", ma non subordina l'iscrizione al tempo pieno all'adesione al servizio di refezione.
Né potrebbe essere altrimenti. Subordinare, di diritto o in via di fatto, l'iscrizione alle 40 ore soltanto a coloro che aderiscano al servizio di mensa e siano disponibili a sostenerne l'onere economico implicherebbe che un servizio facoltativo a pagamento diventi condizione per accedere a un'istruzione pubblica garantita dalla Costituzione come gratuita, oltreché obbligatoria. È quindi evidente che l'accesso al "tempo pieno" non deve portare alle famiglie maggiori oneri economici rispetto al "tempo definito" che non abbiano carattere di volontarietà. Ossia che il servizio di refezione deve restare un'agevolazione alle famiglie, "facoltativa a domanda individuale", senza potersi larvatamente imporre come condicio sine qua non per la scelta del "tempo pieno".
 
Il Tribunale di Torino ha poi aggiunto che “la libertà di scelta del genitore (tra "tempo pieno" e "tempo definito") non è affatto incondizionata, dipendendo sia dall'offerta formativa dell'istituto, dal numero di classi e di posti per classe disponibili, in rapporto alla domanda dell'utenza, sia, ancor più spesso, da dinamiche familiari che non consentono - normalmente per ragioni lavorative - ai genitori o ad altre persone di famiglia di farsi carico del figlio all'ora di pranzo, tanto meno di prelevarlo quotidianamente da scuola e riportarvelo dopo pranzo, e che pertanto inducono ad affidarlo all'istituzione scolastica fino a metà pomeriggio”.
 
Una diversa soluzione implicherebbe che “lo studente venga a perdere la parte del "tempo scolastico" destinato al pranzo comune e alle attività (di socializzazione, distensive e ricreative) che ad esso si accompagnano.
Ai sensi degli “artt. 5 e 9 del D.lgs. 19.2.2004 n. 59 e della Circolare del Ministero dell'Istruzione 5.3.2004, la funzione educativa della scuola non può ridursi alla sola trasmissione del sapere, ma coinvolge il rispetto dei principi di convivenza civile e l'educazione al rapporto con gli altri. Questa funzione educativa s'esplica anche nel tempo riservato alla mensa - momento di condivisione, socializzazione, confronto degli alunni con i limiti e le regole che derivano dal rispetto degli altri e della civile convivenza”.
 

Sulla base di tali premesse il Tribunale di Torino, ferma restando la possibilità per uno studente di uscire accompagnato all'ora di pranzo e rientrare per la ripresa pomeridiana delle lezioni, ha rigettato il reclamo definitivamente riconoscendo il diritto dell'alunno a "tempo pieno" di partecipare al "tempo mensa e dopo mensa" a scuola non può essere negato, né subordinato all'adesione a un servizio a pagamento, come quello di refezione.
 
L'unica alternativa ragionevolmente praticabile, rispettosa sia dell'art. 34 Cost., sia dei dati emergenti dalle fonti di legge e ministeriali, consiste nel consentire agli alunni del "tempo pieno" che non aderiscono al servizio di refezione comunale di consumare a scuola un pasto domestico, ossia preparato a casa. L'istituto scolastico, dal canto suo, dovrà provvedere a dare attuazione concreta al presente diritto tenendo presente “i contenuti del diritto fondamentale alla istruzione che costituisce il presupposto e la ragion d'essere del diritto (al pasto domestico) che qui si riconosce".
Va ricordato che il "tempo mensa e dopo mensa" è parte dell'offerta formativa ed è un momento di sviluppo della personalità, valorizzazione delle capacità relazionali, educazione ai principi della civile convivenza. Valori formativi che devono essere preservati, per quanto possibile, dall'istituzione scolastica, pena la negazione del diritto che è stato qui accertato”.
 
La scelta è rimessa quindi ai genitori che hanno il diritto, e la possibilità ora concretizzatasi, di decidere cosa fare.